Da qualche settimana, in casa mia è ricomparsa una vecchia conoscenza. Erano anni che non vedevo il kefir, tant’è che lo associo ai tempi della mia adolescenza. Ricordo ancora quando è entrato questo latte fermentato per la prima volta in casa nostra, ricevuto come dono preziosissimo da un’amica di famiglia, con mille raccomandazioni su come prendersi cura di questo ‘bambino’ dalle caratteristiche quasi magiche.
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Ma facciamo un passo indietro e vediamo che cos’è la fermentazione, a livello biochimico.
La fermentazione è una via metabolica, cioè una sequenza di reazioni chimiche che avvengono in una cellula, che permette di ricavare energia da composti organici come zuccheri o amminoacidi, in assenza di ossigeno. In condizioni aerobiche, cioè quando c’è ossigeno a disposizione, la cellula preferisce fare la respirazione cellulare, che è un processo metabolico che arriva a bruciare completamente il combustibile, ad esempio lo zucchero, fino a produrre anidride carbonica e acqua come in tutte le combustioni. Questa combustione, che per fortuna non genera fiamme né troppo calore, è molto efficiente nel produrre energia utilizzabile dalla cellula.
Quando però l’ossigeno scarseggia o è del tutto assente, la cellula, che deve comunque produrre energia, inizia a fare la fermentazione. Invece di bruciare completamente il suo carburante, lo ossida solo in parte. Non produce molta energia, ma è sempre meglio di niente. I composti che vengono generati da questa via metabolica sono alcoli o acidi che conferiscono aromi caratteristici ai prodotti fermentati (alcuni gradevoli, altri sgradevoli).
Spesso non è necessario un ambiente totalmente privo di ossigeno per convincere le cellule a fare la fermentazione. Il lievito di birra, per esempio, quando viene messo davanti a un banchetto ricchissimo di zucchero, si emoziona e inizia a fermentare spontaneamente, anche se ha a disposizione l’ossigeno per la respirazione. [1]
Ci sono diversi tipi di fermentazione. Una molto nota è quella alcolica, che è svolta principalmente da lieviti e che viene impiegata per la produzione di birra, vino e prodotti da forno lievitati. La sua caratteristica è quella di produrre alcol e anidride carbonica. In alcuni casi, ricerchiamo la produzione di alcol (etanolo, noto anche come alcol etilico) per rendere alcoliche le bevande come il vino. In altri casi ricerchiamo invece la produzione di anidride carbonica, che gonfia l’impasto del pane e della pizza (l’etanolo viene comunque prodotto, ma evapora durante la cottura ad alte temperature). A volte sono entrambe gradite, come per la birra o per i vini frizzanti.
Un’altra fermentazione molto famosa è quella lattica, svolta prevalentemente da lattobacilli. Questi batteri trasformano gli zuccheri in acido lattico, che fa diventare leggermente acidi lo yogurt o il kefir. Altre sostanze prodotte o liberate durante la fermentazione contribuiscono poi a dare i particolari aromi distintivi che rendono unico ogni tipo di latte fermentato, differenziando lo yogurt dal kefir o il buttermilk dallo yakult.
Una curiosità: anche i nostri muscoli sono capaci di fare la fermentazione lattica; ce ne accorgiamo quando facciamo uno sforzo muscolare troppo prolungato o troppo intenso e cominciamo ad avvertire un senso di indolenzimento che può durare anche per più giorni ed essere molto fastidioso. Perché succede? Se l’apporto di ossigeno al muscolo non è sufficiente a fare abbastanza respirazione cellulare da sostenere il carico di lavoro richiesto, la cellula muscolare deve comunque prendere l’energia per il ciclo di contrazione/rilassamento. Indovinate un po’ da dove la prende? Esatto, proprio dalla fermentazione lattica. Non produce tutta l’energia che potrebbe avere se facesse solo la respirazione cellulare, ma se l’ossigeno scarseggia questo è il massimo che si può permettere. Insomma, riesce a farci correre ancora un po’, se stiamo scappando da un orso o se siamo in ritardo per prendere un treno, ma con la consapevolezza che l’indomani sconteremo con dolori e fastidi il nostro sprint improvvisato.
Il kefir è un latte fermentato il cui consumo è comune nell’Europa dell’est e in alcune zone dell’Asia. È simile allo yogurt ma non lo si può chiamare yogurt, che deve essere prodotto usando due batteri lattici particolari, come abbiamo spiegato in questo articolo.
Il kefir si produce a partire da grani (o granuli) dall’aspetto simile alle piccole infiorescenze del cavolfiore, chiamati kefiran. Questi ammassi morbidi e gelatinosi sono in realtà dei mini-hotel per microrganismi, che ospitano una grandissima varietà di specie microbiche. Gli studi su questo consorzio microbico sono iniziati negli anni ’70 del secolo scorso e ancora oggi vengono scoperte nuove informazioni sui piccoli abitanti di questi cavolfiori in miniatura. [2]
Curiosamente, si è scoperto che non sono solo i batteri a vivere dentro i granuli di kefir, ma ci sono anche dei lieviti. La loro presenza rende diversa la fermentazione del kefir da quella di un semplice yogurt. [3]
Ci sono tanti tipi diversi di prodotti a base di latte fermentato nel mondo. In molti casi si tratta di produzioni domestiche, non industriali. Le comunità microbiche fermentanti, quindi, variano molto e si differenziano per via del microbiota tipico di quella regione del mondo, delle caratteristiche ambientali e del processo di fermentazione utilizzato.
Per esempio, il buttermilk, o latticello, deriva dalla trasformazione della panna in burro e viene fermentato da Lactococcus lactis o Lactobacillus bulgaricus. [4] Il kefir contiene invece una grandissima varietà di batteri lattici (83-90% della conta microbica totale) come Lactococcus lactis subsp. lactis, Streptococcus thermophilus, Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus, Lactobacillus helveticus, Lactobacillus casei subsp. pseudoplantarum e Lactobacillus brevis, ma contiene anche lieviti (10-17% del totale) come Kluyveromyces marxianus var. lactis, Saccharomyces cerevisiae, Candida inconspicua e Candida maris. [5]
Lo yakult, invece, è una bevanda probiotica giapponese a base di latte scremato fermentato da Lactobacillus paracasei Shirota, con un sapore che deriva dai trattamenti termici che avvengono prima della fermentazione e dalle aggiunte di ingredienti che avvengono dopo la fermentazione. E poi c’è lo yogurt, che tutti conosciamo bene, che può essere venduto con tale nome in Italia solo se prodotto tramite fermentazione ad opera di Streptococcus thermophilus e di Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus. Insomma, da grandi varietà di microbi derivano grandi varietà di latte fermentato.
Poiché in molti dei prodotti a base di latte fermentato i microrganismi sono presenti in quantità elevatissime e riescono ad arrivare vivi fino all’intestino, per alcuni di questi si può parlare di probiotici veri e propri. [6] Online si trovano moltissimi siti che ne decantano le proprietà benefiche, protettive e in alcuni casi perfino terapeutiche. Per un approfondimento su come pesare le moltissime informazioni che circolano riguardo agli effetti dei probiotici sulla salute, vi rimandiamo a questo articolo.
[1] Questo comportamento è definito “effetto Crabtree” ed è tipico anche di alcune cellule tumorali
[2] Per un excursus storico delle indagini sulla composizione del kefir e per saperne di più sui microorganismi che ci vivono dentro, segnalo questo articolo Edward R. Farnworth, Kefir – A complex probiotic (2005), Food Science & Technology Bulletin Functional Foods 2(1), pag. 1-17, DOI: 10.1616/1476-2137.13938]
[3] Per ripassare le differenze tra batteri e lieviti, potete rivedere l’articolo “Variety Fair” https://stage.ribrainstudio.com/ingreold/conoscere-e-riconoscere-i-microrganismi/
[4] FONTE https://www.livescience.com/45614-what-is-buttermilk.html
[5] FONTE Simova E. et al., Lactic acid bacteria and yeasts in kefir grains and kefir made from them, 2002, J Ind Microbiol Biotechnol., 28(1), pag. 1-6. doi:10.1038/sj/jim/7000186
[6] Si veda, al riguardo, anche l’articolo https://stage.ribrainstudio.com/ingreold/probiotici-cosa-si-cela-dietro-questo-nome/