Il rapporto tra umani e microbi è un rapporto di amore-odio. Come abbiamo visto in articoli precedenti1, 2 i microrganismi, e in particolar modo i batteri, sono per noi degli importanti alleati, dato che vivono in grandissimo numero nel nostro intestino e che alcune nostre produzioni alimentari dipendono dal loro aiuto.
Allo stesso tempo, però, è necessario tenere a bada i batteri e gli altri microrganismi potenzialmente patogeni, dato che possono essere causa di numerose malattie quando entrano nel nostro corpo. Uno dei metodi con i quali possiamo tenere sotto controllo la crescita e l’invasività dei batteri è usare dei farmaci antibatterici, in particolare gli antibiotici.
In questo articolo scopriremo insieme in quanti modi diversi possono agire queste sostanze nel proteggerci dai batteri che ci circondano.
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Prima di tutto, qualche definizione: con farmaci antibatterici si intendono quelle sostanze chimiche che sono tossiche per i batteri a concentrazioni che, in genere, non sono dannose per gli umani. Hanno, quindi, una tossicità selettiva. Possono agire come batteriostatici, bloccando la crescita dei batteri e facilitandone l’eliminazione da parte dell’organismo, oppure come battericidi, determinando la morte del batterio stesso.3
Secondo la definizione originale, si chiamano antibiotici quei farmaci antibatterici prodotti da organismi viventi, come batteri o muffe, mentre quelli prodotti in laboratorio si chiamano chemioterapici antimicrobici. Oggi, però, anche le molecole con un’origine naturale vengono prodotte artificialmente, così costano meno e sono più sicure. Inoltre, producendole chimicamente le si può modificare in modo da renderle più efficaci contro i batteri, meno nocive per i pazienti, e di più facile somministrazione.
Questo permette di avere farmaci attivi anche contro i ceppi batterici resistenti, ormai molto diffusi, di cui parleremo nel prossimo articolo. Visto che la distinzione in base all’origine naturale o sintetica è ormai superata, quindi, in questo articolo useremo il termine antibiotici riferendoci indifferentemente all’una o all’altra categoria (che poi è quello che avviene anche nel quotidiano, quando andiamo dal medico o in farmacia).
Gli antibiotici possono svolgere la loro azione, batteriostatica o battericida, con sei diverse strategie.4 Vediamole in breve!
Questa categoria di antibiotici è stata la prima ad essere scoperta e investigata. A questo riguardo, è molto noto il contributo di Alexander Fleming, medico scozzese che ha scoperto la penicillina, capostipite di questa famiglia di sostanze battericide. È meno noto, invece, il ruolo di Vincenzo Tiberio, medico e ricercatore italiano, che ha precorso gli studi di Fleming di oltre 30 anni.5
Questi farmaci sono stati scoperti originariamente in estratti liquidi di colture di muffe, come Penicillium notatum (cugina della muffa del gorgonzola di cui abbiamo parlato in un articolo precedente6), osservando come la presenza di queste muffe impediva o limitava la crescita di batteri nelle vicinanze.
Dal punto di vista molecolare, questi antibiotici bloccano alcune reazioni chimiche necessarie ai batteri per produrre il peptidoglicano, che è il componente principale della parete che conferisce resistenza e solidità ai batteri. Se la parete batterica non viene sintetizzata correttamente, qualunque squilibrio nell’ambiente circostante può essere fatale per il batterio, che si ritrova senza protezione e si può disintegrare.
Tra gli antibiotici con questo meccanismo di azione, sono famose le penicilline (come le penicilline G e V, o l’amoxicillina), le cefalosporine (molto interessante la loro scoperta da parte del medico italiano Giuseppe Brotzu nelle acque del porto di Cagliari negli anni ’40)7 e altri antibiotici definiti beta-lattamici. Tra le sostanze che inibiscono la produzione della parete batterica ma non sono beta-lattamici, troviamo bacitracina, cicloserina, vancomicina, e fosfomicina (non facciamoci ingannare dal nome “micina”: non hanno niente a che vedere con i gattini! Il nome prende la radice greca “myco” che sta per “fungo”, visto che le muffe che li producono sono funghi)
Storicamente, queste sostanze sono state tra i primi chemioterapici utilizzati. Già nel 1935 era stata dimostrata l’attività antibatterica di un colorante rosso sintetico. Da lì, gli studi sono proseguiti fino ad arrivare a una nuova classe di antibiotici, i sulfamidici, che riescono a bloccare la produzione di acido folico nei batteri.
L’acido folico, o vitamina B9, ha un importante ruolo nel metabolismo del DNA, specialmente in cellule che si stanno dividendo rapidamente. Ecco perché la sua mancanza inibisce e blocca la moltiplicazione delle cellule (sia quelle batteriche che le nostre, in particolare durante la gravidanza).
Questi farmaci non rappresentano un grosso problema per noi esseri umani, dato che l’acido folico necessario ce lo procuriamo con l’alimentazione. Ma per i batteri che se lo devono produrre autonomamente, un blocco della catena di produzione diventa un ostacolo insormontabile che impedisce alle cellule di riprodursi, terminando quindi l’invasione dell’organismo ospite.
Oltre ai sulfamidici in senso stretto, come il sulfametossazolo o la sulfametazina, hanno un’azione simile anche l’acido para-amminosalicilico, il dapsone e il trimetoprim (che blocca in modo leggermente diverso la stessa via di produzione della vitamina B9)
Per una cellula la produzione di proteine è un processo fondamentale, importantissimo. Specialmente per le cellule in rapida crescita, come i batteri che stanno invadendo un organismo. Bloccare la sintesi delle proteine è quindi un ottimo meccanismo di difesa che possiamo mettere in atto, ma è importante bloccare solo la produzione delle proteine batteriche, senza intaccare le cellule dell’organismo ospite che devono poter continuare il loro lavoro.
Per nostra fortuna, le strutture batteriche deputate alla produzione di proteine (i ribosomi) sono leggermente diverse da quelle delle nostre cellule. Queste piccole differenze sono alla base del funzionamento di una classe di antibiotici che può bloccare i ribosomi batterici e non permettere loro di produrre tutte le proteine necessarie alla riproduzione del microrganismo patogeno.
Funzionano con questo meccanismo antibiotici come la streptomicina, i macrolidi (come eritromicina, azitromicina e claritromicina), il cloramfenicolo e le tetracline (come aureociclina, doxiciclina e metaciclina).
Per produrre le proteine, un ingrediente fondamentale è l’RNA, che ricopia le informazioni genetiche e le porta fino al sito di produzione delle proteine stesse. Bloccare la sintesi dell’RNA significa quindi bloccare tutto il lavoro di produzione che sta a valle.
Gli antibiotici che agiscono sulla sintesi del RNA sono la rifampicina e l’actinomicina D, oggi usata solo nella terapia del cancro visto che è stato il primo antibiotico a dimostrare un effetto tossico anche sulle cellule tumorali.
“Per fare un albero, ci vuole un seme”, cantava la canzone. Così, come per fare le proteine ci vuole l’RNA, per fare l’RNA ci vuole il DNA. Il DNA è il deposito di tutte le informazioni genetiche dentro le cellule di tutti i viventi. Danneggiare il DNA vuol dire rovinare il ‘libro delle ricette’ e impedire quindi il corretto funzionamento di tutta la cellula.
Alcuni antibiotici agiscono proprio a questo livello, come la mitomicina, che causa danni al DNA e ne impedisce la replicazione, meccanismo per il quale viene utilizzata anche nella terapia antitumorale. La novobiocina e i chinoloni (come la ciprofloxacina) bloccano invece i meccanismi della duplicazione del DNA impedendo la despiralizzazione della doppia elica, che rimane superavvolta come i cavi a spirale dei vecchi telefoni, creando un groviglio su cui non possono lavorare le proteine necessarie.
Ultimi, ma non per importanza, gli antibiotici che agiscono sulle membrane batteriche, che sono capaci di renderle più deboli e più permeabili. Questi si legano ai grassi che costituiscono la membrana esterna dei batteri Gram-negativi8 e agiscono come un detergente, destabilizzando il rivestimento protettivo della cellula. Un esempio di antibiotici in questa categoria sono la polimixina B e la polimixina E (colistina).
Dopo aver visto come funzionano le varie categorie di antibiotici, nel prossimo articolo parleremo di come fanno i batteri a sfuggire a questi attacchi così mirati e vedremo perché oggi è un problema molto grosso. Non perdetevelo!
Fonti: