Nel nostro ultimo articolo abbiamo parlato di antibiotici e abbiamo visto come funzionano. Sono tantissimi (fortunatamente!) i farmaci che ci consentono di ‘mettere i bastoni tra le ruote’ dei metabolismi microbici, controllando la loro crescita e consentendoci di combattere le infezioni. Non sempre, però, le cose funzionano come vorremmo, e potrebbe capitarci di imbatterci in batteri resistenti agli antibiotici.1
I microrganismi resistenti agli antibiotici sono sempre più diffusi e sono diventati una fonte di grande preoccupazione per le agenzie di controllo sanitario di tutto il mondo, che li sorvegliano a vista. I batteri, in particolare, sono quelli che destano maggiori timori. Sono piccolissimi, si trovano in tutto il pianeta (abitano infatti anche su di noi e dentro di noi2), sono molto adattabili alle varie condizioni ambientali e hanno, in genere, una velocità di duplicazione incredibilmente alta. Questo li rende estremamente pericolosi nel momento in cui entrano nel nostro organismo (ma anche in quello di animali e piante di nostro interesse) e iniziano a “combattere” contro di noi. Finché riusciamo a tenerli a bada con antibiotici, possiamo cavarcela, ma nel momento in cui le nostre armi cominciano a diventare inefficaci, siamo davvero nei guai.
Ma come fanno i batteri a diventare resistenti agli antibiotici? E come possiamo difenderci da questi super-nemici?
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La resistenza agli antibiotici è un ottimo esempio di evoluzione guidata dalla selezione (in questo caso, la selezione può essere sia naturale sia artificiale). Vediamo come funziona. Può capitare che in una popolazione microbica che abita un certo ambiente si formino casualmente delle cellule con piccole variazioni rispetto alla media della popolazione: un amminoacido al posto di un altro, una proteina un po’ diversa, un enzima un po’ insolito… Tutte queste variazioni sono causate da uno o più cambiamenti delle istruzioni contenute nel DNA, cambiamenti chiamati “mutazioni”. Le mutazioni avvengono casualmente, per errori di copiatura o per l’azione di agenti mutageni, come le radiazioni o certi composti chimici. Poiché modificano il DNA, le mutazioni sono ereditabili da tutte le cellule figlie che si genereranno a partire da quella singola cellula che è stata mutata.
Nella maggior parte dei casi, le mutazioni sono errori che possono avere effetti deleteri per la cellula, rendendola meno efficiente, meno resistente, svantaggiata rispetto al resto della popolazione. In alcuni casi possono essere mutazioni neutrali, con un effetto trascurabile o addirittura nullo sulla vita della cellula. In altri casi ancora, di solito più rari, le mutazioni possono rivelarsi utili per la cellula, conferendole un vantaggio rispetto a tutte le altre.
Se la mutazione, per esempio, rende il batterio meno suscettibile a un antibiotico o gli consente di distruggerlo e neutralizzarlo, il microrganismo riesce a sopravvivere in caso di una esposizione a quell’antibiotico. Poiché tutte le altre cellule, non mutate e quindi sensibili, sono morte a causa dell’antibiotico, il batterio sopravvissuto ha ora tutte le risorse a sua disposizione senza competizione, quindi crescerà più velocemente, dando origine a una nuova popolazione di cloni, tutti resistenti a quell’antibiotico. La mutazione, seguita dalla pressione selettiva dell’esposizione all’antibiotico, ha causato quindi un’evoluzione della popolazione, cioè un suo cambiamento.
I batteri possono resistere agli antibiotici grazie a molti meccanismi, tra cui:
Come fare, quindi, a difenderci da batteri che sono così bravi ad evitare le nostre armi? Una corretta terapia richiederebbe come prima cosa di identificare il microrganismo responsabile dell’infezione. Solo così facendo si potrà scegliere l’antibiotico giusto per quel tipo di patogeno.3 Spesso capita che vengano prescritti antibiotici ad ampio spettro, cioè attivi contro un gran numero di specie batteriche diverse, per iniziare al più presto la terapia farmacologia. Sarebbe però molto meglio fare prima un esame laboratoriale, chiamato antibiogramma, per verificare la sensibilità di quel particolare ceppo batterico ai vari antibiotici.
Nella foto seguente si vede un esempio di antibiogramma preparato da alcuni studenti della mia scuola. Non è perfetto, ma si nota che intorno ai dischetti imbevuti di antibiotici non crescono batteri, e il terreno di coltura rimane quindi limpido, generando un alone di inibizione. Quando la concentrazione di antibiotico che ha diffuso dal dischetto centrale è insufficiente a fermare la crescita microbica, ecco che tornano a crescere le cellule, fino a ricoprire tutto il resto della superficie. Misurando i diametri degli aloni di inibizione si può confrontare l’efficacia di diversi antibiotici e stabilire quale è il più efficace contro quel ceppo patogeno.4
Il crescente numero di ceppi batterici resistenti a molte classi di antibiotici sta destando forti preoccupazioni a livello mondiale. Se da un lato è importante che procedano sempre di più la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci antibatterici, dall’altro è più che mai importante che si impari a usare bene quelli che già abbiamo a nostra disposizione, per evitare che si sviluppino altri ceppi resistenti.
È fondamentale che l’antibiotico sia sempre prescritto da un medico e che non venga assunto in caso di infezioni virali (come il comune raffreddore, che è causato da virus, contro i quali gli antibiotici non hanno nessuna azione). Rispettare le indicazioni orarie relative a quando assumere i farmaci è un modo per ottenerne il massimo beneficio riducendo il rischio che si selezionino batteri antibiotico-resistenti.5
Anche se non siamo ricercatori, tutti possiamo dare il nostro contributo per continuare a mantenere efficaci i farmaci antibiotici.